Benzina e Gasolio alle stelle: Tutta speculazione?

21 Mar 2022 | Pubblicazioni

Le riflessioni controcorrente di Salvatore Carollo

In questa nuova riflessione controcorrente, Salvatore Carollo fa un accorato appello alle istituzioni affinché non dimentichino che le raffinerie italiane sono un asset strategico da valorizzare oggi più che mai con investimenti adeguati, nell’ottica di prepararsi a quella che lo stesso premier Mario Draghi ha definito “economia di guerra”.

L’aumento alle stelle dei prezzi di benzina e gasolio infatti non è solo frutto di speculazione a monte sui mercati finanziari di trader, banche ed hedge fund, ma anche conseguenza di una politica energetica troppo ottimista sul fronte della transizione energetica. Che ha innescato gli attuali rally dei prezzi di greggi e prodotti ben prima dello scoppio del conflitto russo-ucraino. Proprio oggi che a Roma c’è un incontro decisivo per la pace, tra Usa e Cina, la riflessione di Carollo suggerisce che affidarci alle importazioni da Oriente per l’approvvigionamento di carburanti potrebbe rivelarsi la scelta sbagliata nel momento sbagliato.

Come si può dimenticare che non troppo tempo fa personaggi come il presidente della Puglia Michele Emiliano e la giornalista Milena Gabanelli ci ripetevano che il petrolio ormai te lo tiravano dietro. Addirittura, la giornalista interpretò il crollo del Wti a -37 dollari barile come l’evidenza che non solo il petrolio te lo regalavano ma che addirittura ti pagavano 37 dollari barile perché gli svuotavi i serbatoi. Citiamo questi episodi fra i milioni che circolano sui social solo per sottolineare che c’è un’attitudine a confrontarsi con problemi strutturali drammatici con una superficialità strumentale e propagandistica che impedisce a questo paese di capire e cercare soluzioni stabili e durature.

Il rialzo dei prezzi dei combustibili? Un fenomeno in corso da anni

Il rialzo dei prezzi dei combustibili ora esploso in modo così dirompente era in corso ormai da anni e si è trattato di un fenomeno che è emerso progressivamente senza arrestarsi mai. Le oscillazioni del prezzo del Brent e del Wti, i due benchmark “finanziari” del petrolio nel mondo e negli Usa rispettivamente, sono spesso dovute alle dinamiche speculative delle borse di Londra e di New York, dove le aspettative dei traders prevalgono sui fondamentali della domanda e dell’offerta. L’inizio dell’invasione dell’Ucraina ha dato una spinta in alto al prezzo del Brent portandolo al di sopra di 130 dollari barile. Qualche giorno dopo, quando i dati oggettivi hanno reso evidente che le sanzioni non avrebbero fermato le esportazioni di greggio russo e che il bilancio domanda offerta a livello mondiale non avrebbe subito alcuna conseguenza rilevante, nel giro di poche ore, il prezzo è tornato a 103 dollari barile, esattamente dove stava prima della crisi ucraina. Che il petrolio (ed anche il gas naturale) siano ormai oggetto di speculazioni gigantesche da parte del trading finanziario, è un dato acquisito da decenni, come lo è il fatto che non esiste più un benchmark che sia legato alle dinamiche del mercato fisico. Il mercato fisico ed il prezzo interagiscono attraverso le emozioni e gli interessi del mondo del trading finanziario. Il prezzo è il risultato del rapporto fra aspettative di domanda e di offerta percepite dai traders della finanza, almeno quando siano genuine e non finalizzate ad obiettivi di extra-profitti traguardati dalle grandi multinazionali della finanza.

Negli ultimi decenni le condanne ricevute dalle istituzioni finanziarie per aver manipolato i mercati petroliferi costituiscono una prova definitiva. Depurato dal picco a 130 dollari barile durato pochi giorni, il prezzo del greggio rimane solidamente sopra i 100 dollari barile, livello che solo mesi fa sembrava appartenere ad una storia passata che molti pensavano non avremmo più rivisto. Siamo o no nell’era della transizione energetica caratterizzata dalla fine delle fonti fossili? Eppure, basterebbe dare uno sguardo ai numeri per capire dove siamo e dove stiamo andando a sbattere. La domanda di idrocarburi nel mondo continua a crescere, al di là del rallentamento causato dalla pandemia Covid-19, mentre il crollo degli investimenti (ormai in essere da tempo a causa delle pressioni politiche di natura ambientalista sulle compagnie petrolifere e sulle banche che finanziavano i progetti di ricerca upstream) sta progressivamente riducendo l’offerta di greggio. Il risultato è un solido e progressivo aumento del prezzo. La vicenda Ucraina può aver illuso tanti che questo rialzo sia legato alle emozioni del momento, ma nulla è più errato di questa visione opportunistica. I 100 dollari barile erano già sul tavolo prima di questi eventi. Diversa è la questione dei prodotti finiti, benzina, gasolio, jet fuel. Camionisti, pescatori e presto agricoltori invaderanno e bloccheranno le nostre strade, perché i prezzi dei combustibili sono insostenibili con gli equilibri di mercato delle loro economie. Non si può evitare di ricordare che si tratta di quelle categorie economiche che venivano catalogate dai verdi nostrani nell’elenco dei sostegni pubblici alle fonti fossili da eliminare. Ora, è un pullulare di proposte di bonus energetici a sostegno di categorie e poveri del paese. Sembra di partecipare ad un gioco di società tipico di certi salotti.

Necessario riflettere sulla crisi dell’ Industria di raffinazione italiana ed europea per evitare la scomparsa di questa struttura

Ma non sarebbe meglio affrontare un discorso serio sui nodi strutturali dell’industria di raffinazione e della politica di approvvigionamento nel suo complesso, anziché gestire l’affanno del momento aggravando l’indebitamento del paese? A differenza del gas naturale che, attraverso la rete di trasporto, arriva dai giacimenti direttamente al fornello di casa o al bruciatore delle centrali, il petrolio è una materia prima che non può essere inviata al consumo finale. Nessuno di noi mette il petrolio nella propria autovettura o negli aerei. Al consumo finale vanno i prodotti petroliferi (benzina, gasolio, kerosene, jet fuel, virgin nafta, lubrificanti, olio combustibile, e via dicendo) che si ottengono attraverso un complesso processo di trasformazione negli impianti di raffinazione. Non c’è quindi una relazione diretta e automatica fra prezzo del petrolio e prezzo della benzina. In mezzo c’è la struttura di raffinazione. Se questa struttura industriale è in grado di trasformare “tutto” il petrolio greggio in prodotti finiti con continuità e senza limitazioni, allora il rapporto di prezzo fra benzina e petrolio rimane costante nel tempo. Quando emergono strozzature nella capacità di raffinazione disponibile e quindi impossibilità di trasformare il petrolio greggio nei prodotti finiti richiesti dal mercato, si modifica l’offerta dei prodotti finiti sul mercato, spingendo in alto il loro prezzo a prescindere dal prezzo del greggio. Sui giornali e sui social è un fiorire di raffronti fra situazioni storiche in cui ad un prezzo ancora più alto del prezzo del greggio corrispondeva un prezzo della benzina più basso di quello odierno. Sembrerebbe la prova di un delitto commesso da chi opera in questi mercati. Purtroppo, queste analisi sono ingenue e prive di alcun senso tecnico. La situazione odierna è abbastanza chiara. Ormai da quasi 50 anni, dopo la crisi di Suez e quella del 1973, si sono avviati dei processi che hanno messo in crisi l’industria della raffinazione italiana ed europea. Da allora la capacità di raffinazione nazionale è stata già ridotta di oltre il 60% e continua a ridursi con una chiara prospettiva di scomparsa totale. In un quadro in cui le fonti fossili rappresentano il male assoluto, chi mai dovrebbe pensare di investire in impianti di raffinazione costosissimi attirandosi addosso l’odio dei verdi ed il biasimo della politica? Progressivamente, siamo arrivati al punto che il nostro paese, una volta netto esportatore di prodotti finiti di qualità verso i mercati del Nord Europa e degli Usa, oggi non ha più la capacità operativa di produrre tutti i prodotti finiti che servono al mercato nazionale. Alcune raffinerie continuano ad operare, ma spesso a marcia ridotta ed in condizioni di precarietà e di difficoltà economica. Di recente, raffinerie storiche sono state e saranno fermate o trasformate in impianti di bioraffinerie.

Chiariamo il concetto. Una raffineria in grado di trasformare 4 milioni di tonnellate/anno di petrolio greggio in benzine e gasolio, una volta trasformata in bioraffineria, produrrà soltanto 400 mila tonnellate/anno di gasolio. Da 4 milioni a 400 mila significa una perdita della capacità di produzione del 90%. Analogamente, queste trasformazioni comportano un tracollo dei posti di lavoro e la perdita di professionalità di altissimo livello. Gli evidenti tagli dei costi di manutenzione hanno fatto aumentare gli incidenti e le fermate degli impianti. Ed abbiamo dovuto registrare che la fermata momentanea di un impianto spesso diventa definitiva. Anche impianti di pregio tecnologico sono scomparsi dalla lista degli impianti esistenti. In questo contesto, l’approvvigionamento dei prodotti finiti del paese è diventato sempre più dipendente dall’importazione dal mercato spot occasionale e spesso dal mercato nero. Questi mercati sono precari e sottoposti ad ogni forma di speculazione. Le nostre scelte (le non scelte alla fine diventano scelte nostro malgrado) di politica energetica ed industriale ci hanno portato ad avere un sistema di approvvigionamento dei prodotti finiti estremamente vulnerabile ed incerto. Evidentemente, abbiamo deciso di credere (o ci faceva comodo credere) a chi proclamava che il petrolio ormai te lo tirano dietro. I fatti ci stanno dicendo che la realtà è un po’ diversa e che il percorso che ci porterà verso la transizione energetica non è né lineare né breve. Nel frattempo, un paese dotato di un minimo livello di saggezza dovrebbe preoccuparsi di poter arrivare alla fine del percorso in condizioni di sicurezza degli approvvigionamenti. Andare dietro a ciarlatani e demagoghi comporterà prezzi e rischi altissimi per l’economia e per gli equilibri sociali del paese. I politici la smettano di parlare di pannicelli caldi basati su bonus energetici che aggravano il debito pubblico e non risolvono nessuno dei problemi strutturali del paese. Tutti i paesi europei stanno affrontando la nuova crisi energetica prendendo decisioni importanti. La Germania parla di riprendere le perforazioni nel Mare del Nord, mentre noi oscilliamo sulle potenzialità dell’Adriatico e ci misuriamo con la resistenza (camuffata da stime approssimate sui costi) delle aziende ad investire.

La soluzione realistica: predisporre un piano di investimenti che assicuri la vita produttiva delle raffinerie nazionali per i prossimi 20anni

Se il premier Mario Draghi dichiara che dobbiamo preparaci ad affrontare le emergenze strutturali con un’ottica di economia di guerra, cominciamo a fare il punto sui nostri punti di forza strategici. Non abbiamo centrali nucleari purtroppo e ci vorrà un decennio prima di averne qualcuna operante, ma nel frattempo abbiamo ancora impianti di raffinazione importanti che possono garantire l’approvvigionamento del paese. Non facciamoli chiudere, ma prepariamo un piano di investimenti che ci assicurino la loro vita produttiva per i prossimi 20 anni. Con un sistema di raffinazione operante, sarà più facile approvvigionarsi di petrolio greggio utilizzando i rapporti strategici che abbiamo con i paesi produttori e potremo dare una spinta alle aziende che esportano impianti e tecnologie verso quei paesi. Abbiamo sempre fatto un punto di forza di queste capacità e possibilità. Non disarmiamoci proprio ora a metà strada verso la transizione. Evitiamo di affogare in mezzo al guado. Dalla vendita di combustibili lo Stato incassa circa 40 miliardi di euro all’anno. Spendiamo il 50% dell’incasso di un anno per finanziare la ristrutturazione della raffinazione nazionale. È un intervento vitale. Si abbia il coraggio di affrontare la realtà e di chiamare all’appello i manager delle aziende energetiche per la messa in opera di un piano nazionale dell’energia che non cancelli, deliberatamente, il capitolo sugli idrocarburi. E lo si faccia oggi.

Fonte: Today@
Staffetta Quotidiana